"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




domenica 28 marzo 2010

Che fare dei ricercatori universitari?


Negli ultimi mesi leggiamo sempre più spesso sui giornali del malessere e delle proteste dei ricercatori universitari data l'imminente approvazione del DDL Gelmini. Ricercatori di vari atenei hanno minacciato di bloccare la didattica se il decreto passerà così com'è. Come abbiamo scritto in passato il DDL Gelmini (così come a suo tempo la legge Moratti, promulgata ma mai entrata in vigore) elimina la figura del ricercatore a tempo indeterminato, sostituendola con una falsa tenure-track. Si tratta di normali contratti a tempo determinato, seguiti da una eventuale assunzione come professori associati, nel caso in cui si ottenesse l'idoneità nazionale e vi siano le risorse per farlo. Rimane comunque il problema degli attuali ricercatori universitari: con la messa in esaurimento del ruolo e l'istituzione di nuove regole per l'accesso alla fascia degli associati, pensate per le cosiddette tenure-track, le prospettive di carriera diventano incerte, oltre al fatto che il ruolo del ricercatore viene ulteriormente marginalizzato con l'esclusione dagli organi accademici. Che si sarebbe creato un problema era evidente già dalla legge Moratti, ma non è ancora chiaro quale sarà la soluzione. Questo tipo di problemi sono ricorrenti nella storia legilativa dell'università italiana e tipicamente si risolvono solo quando la situazione è insostenibile con una ope-legis emergenziale.

Come finirà ora non è chiaro, visto che il vero asse portante della nuova riforma è il taglio delle risorse e la distruzione del sistema attuale e quindi soldi per ope-legis non ce ne sono. Partendo da questa constatazione, Marco Merafina del CNRU (Comitato Nazionale Ricercatori Universitari) ha proposto di fare accedere al ruolo di associato tutti iricercatori che abbiano svolto sei anni di didattica e superino i "requisiti minimi scientifici già definiti dal CUN e diversificati per area scientifica". In cambio però si rinuncia alla progressione economica degli associati, così che il provvedimento sarebbe a costo zero e quindi appetibile per il governo. In realtà tutti sanno che una volta diventati associati basterà appellarsi ad un giudice per ottenere parità di trattamento economico, La proposta è stata sottoposta al vaglio dei ricercatori universitari, con un sondaggio cui hanno risposto in 5000 (il 20% dei ricercatori). Di questi l'80% si è detto a favore della proposta. Il merito della proposta è stato quello di sollevare il problema di cosa fare degli attuali ricercatori. Il problema è che la soluzione prospettata da Merafina è facilmente criticabile, visto che i criteri minimi scientifici del CUN sono veramente minimi (per la fisica una pubblicazione all'anno in media sugli ultimi sette anni), e quindi per la promozione conterebbe soprattutto la didattica. Migliore è la proposta portata avanti da alcuni ricercatori dell'università di Siena e sottoscritta da più di seicento ricercatori. Qui si propone di bandire nei prossimi cinque anni i concorsi nazionali per l'idoneità da associato, previsti dal DDL Gelmini , ma di riservarli ai ricercatori. Si chiede inoltre che l'idoneità in questo caso coincida con la promozione senza bisogno di concorsi locali aggiuntivi. Anche la CRUI, che in passato aveva visto favorevolmente la riforma, si è accorta del problema e in una recente mozione chiede che anche gli attuali ricercatori possano accedere alle procedure di promozione previste per i tenure-track (sarebbe d'altronde assurdo vietare ai ricercatori di diventare associati). La CRUI chiede inoltre 2000 posti l'anno nei prossimi due anni.

La soluzione a tutti questi problemi sarebbe stata invece molto semplice: mantenere la figura del ricercatore e rendere invece più seria e rigorosa la conferma in ruolo dopo i primi tre anni. Questa sarebbe stata una vera tenure-track che non avrebbe creato problemi di sorta. Ma questo difficilmente avverrà. Bisognerà quindi risolvere il problema dei ricercatori e senza risorse aggiuntive non sarà facile. Ci sarebbe bisogno di una pianificazione a lungo termine degli ingressi, separando le promozioni dalle nuove assunzioni.



mercoledì 24 marzo 2010

Concorsi CNR vs CNRS




Come abbiamo accennato in un post precedente i bandi di concorso al CNR sono "complicati" e intrinsecamente differenti, ad esempio, da quelli del CNRS francese. Facciamo qualche esempio concreto (vedi bando N.364.96 del 22/12/2009). Un bando CNR è composto da 12 pagine scritte in un italiano farraginoso e burocratico che può mettere in crisi anche un "esperto" conoscitore di bandi di concorso. Una domanda al CNRS si compila online sia in francese che in inglese (vedi le istruzioni).

Vediamo in dettaglio le differenze tra i due meccanismi di reclutamento:

Bandi:

  • CNRS: Il CNRS non fa bandi. Fa ogni anno un concorso dove assume circa 400 ricercatori nuovi. Il concorso è fatto tutti gli anni nello stesso momento, le regole sono circa le stesse da parecchi anni, le commissioni di concorso sono elette su base quadriennale e il numero di posti e la loro ripartizione per discipline è circa costante. Tutto questo per dire che c'è una programmazione a lungo termine.
  • CNR: I bandi del CNR sono del tutto irregolari nel tempo ed in queste condizioni non è possibile fare una programmazione né dei posti né delle opportunità di carriera

I documenti che bisogna presentare sono:

  • CNRS: Curriculum e pubblicazioni, un resoconto della ricerca svolta negli ultimi anni, e un progetto di ricerca per gli anni a venire.
  • CNR (Art.4 comma 4) Alla domanda devono essere allegati:
a) curriculum firmato in sei copie nel quale il candidato indicherà gli studi compiuti, i titoli di studio conseguiti, i rapporti tecnici e/o le pubblicazioni e/o le monografie e/o i brevetti, e gli altri titoli relativi ai servizi prestati, le funzioni svolte, gli incarichi ricoperti ed ogni altra attività eventualmente esercitata che il candidato ritiene utile menzionare ai fini della valutazione;
b) titoli di cui al curriculum che il candidato ritiene utile produrre ai fini della valutazione;
c) elenco firmato, in sei copie, di tutti i titoli di cui al precedente punto b);
d) tra tutti quelli indicati nel curriculum e nel numero massimo di cinque, le pubblicazioni e/o i rapporti tecnici e/o le monografie e/o i brevetti, scelti dal candidato e da lui ritenuti i più significativi ai fini della valutazione;
e) elenco in sei copie delle pubblicazioni, rapporti tecnici e/o monografie e/o e dei brevetti di cui al precedente punto d);
f) certificazione sullo stato di servizio dei candidati che concorrono alla riserva dei posti di cui all’art. 18, comma 6, del decreto legislativo n. 215/2001, rilasciato dall’ufficio documentazione e Matricola del competente Distretto Militare, attestante la circostanza di essere soggetto avente diritto alla riserva;
g) supporto informatico contenente documenti di cui ai punti a), b), c), e).

Quali autenticazioni sono richieste ?
  • CNRS: c'è un documento che attesta il PhD di cui si può fare la scansione digitale e poi fare l'upload sul sito (tutto il dossier si riempie online). Non sono rischieste ulteriori autenticazioni.
  • CNR: I titoli di cui al presente art. 4, comma 4, lettera b) dovranno essere prodotti esclusivamente secondo una delle seguenti modalità:
- in originale;
- in copia autenticata ai sensi dell’art. 18 del DPR 445/2000;
- in copia dichiarata conforme all’originale con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (allegato mod.C), resa ai sensi dell’art. 19 del citato DPR 445/2000;
- mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione/ dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (allegato mod.C1) ai sensi dell’art. 46 e dell’art. 47 del citato DPR 445/2000;
Le cinque pubblicazioni e/o rapporti tecnici e/o le monografie e/o i brevetti scelti dal candidato di cui al presente art. 4, comma 4, lettera d) dovranno essere prodotti esclusivamente secondo una delle seguenti modalità:
- in originale;
- in copia autenticata ai sensi dell’art. 18 del DPR 445/2000;
- in copia dichiarata conforme all’originale con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (allegato mod.C), resa ai sensi dell’art. 19 del citato DPR 445/2000;
- Il curriculum, anche se sottoscritto in maniera autografa, potrà essere valutato solo se compilato sotto forma di dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi del DPR 445/2000, e dovrà contenere tutti gli elementi utili per la valutazione; in questo caso il curriculum dovrà essere sottoscritto e riportare prima della firma l’espressa annotazione circa la consapevolezza delle sanzioni penali nelle quali il candidato incorre per dichiarazioni mendaci ed essere accompagnato da fotocopia di un documento di riconoscimento (art. 76 DPR 445/2000).

Quanti punti al CV ? Quanti punti alla prova orale ? Quanti punti alla prova scritta ?

  • CNRS: non c'è prova scritta, e non ci sono punti. La commissione decide a propria discrezione. Viene fatta una classifica sulla base dei titoli, poi tutti i candidati fanno un colloquio di circa 15 minuti davanti a un terzo della commissione
  • CNR: (Articolo 6) Per la valutazione dei titoli, la Commissione dispone complessivamente di 40 punti. I titoli valutabili ed i relativi punteggi massimi attribuibili sono i seguenti:

a) i titoli di cui all’art. 4 comma 4, lettera b)

Nell’ambito del curriculum è titolo specificamente CNR, ivi compresi gli Enti accorpati, con rapporto ricerca e/o contratti di collaborazione alla massimo di dieci anni per un punteggio massimo

b) le pubblicazioni, i rapporti tecnici e/o le monografie successiva lettera c), massimo punti 5;

c) le pubblicazioni, i rapporti tecnici e/o le monografie

4, lettera d), massimo punti 15 con un massimo rapporto tecnico o monografie o brevetto.

(Articolo 7)

1. Gli esami si articolano in:

a) due prove scritte in lingua italiana, una a carattere teorico ed una a carattere applicativo dirette ad accertare il possesso, da parte del candidato, delle competenze coerenti con la tematica di lavoro indicata nell’allegato A) del bando di concorso;

b) una prova orale, consistente nella discussione di aspetti scientifici di ordine generale e specifico degli argomenti di ricerca di cui alla tematica di lavoro indicata nell’allegato A) prescelta dal candidato, nonché delle prove scritte, del curriculum, delle pubblicazioni e dei rapporti tecnici e/o le monografie e/o brevetti. La prova orale è diretta anche ad accertare la conoscenza della/e lingua/e straniera/e e dell’informatica e, per i cittadini stranieri, la conoscenza della lingua italiana.

2. La Commissione dispone, per la valutazione, di 25 punti per ciascuna prova scritta e di 20 punti per la prova orale.

....

La prova orale s’intende superata dai candidati che abbiano riportato un punteggio non inferiore a 14/20 ed un giudizio almeno sufficiente in ordine alla conoscenza della/e lingua/e straniera/e e dell’informatica.

9. L’idoneità è conseguita se il punteggio risultante sommando i punteggi ottenuti nella valutazione dei titoli, nelle due prove scritte e nell’orale non è inferiore a 70;

Come è formata la commissione ?

  • CNRS: La commissione e' formata da circa 20 persone elette su base quadriennale dal personale CNRS e universitario
  • CNR: (Articolo 5) Nell’ambito del presente bando le Commissioni giudicatrici sono nominate per ciascuna Area Scientifica, con decreto del Presidente del CNR, e sono costituite da tre a cinque membri effettivi e due supplenti, la composizione delle Commissioni è pubblicata sulla pagina del sito Internet del CNR..... Per una stessa Area Scientifica, qualora la specificità della tematica lo richieda, potranno essere costituite più commissioni distinte per raggruppamenti omogenei.

Come sono descritti i profili ?

  • CNRS: il CNRS è diviso in "sezioni" che corrispondono più o meno alle classi di concorso universitarie italiane (sezione 02 fisica teorica, sezione 01 matematica, ecc.). Ogni sezione ha la sua commissione che decide per un certo numero di posti.
  • CNR: Sui profili dei bandi CNR rimandiamo ad un post precedente

... e gli stranieri cosa devono fare?

  • CNRS: la domanda è compilabile sia in francese che in inglese. Non vi sono restrizioni di nazionalità né documenti particolari da esibire per i candidati stranieri. Non è necessaria la conoscenza della lingua francese.
  • CNR: Art 2. Requisiti di ammissione..."se cittadini stranieri, di godere dei diritti civili e politici nello Stato di appartenenza o di provenienza, ovvero i motivi del mancato godimento" ...."per i soli cittadini stranieri: di avere adeguata conoscenza della lingua italiana". Art 11: "Nel caso di titolo di studio conseguito all’estero deve essere presentata copia della dichiarazione di equivalenza rilasciata dalla competente autorità italiana"

Conclusione del concorso

  • CNRS: i concorsi si aprono a dicembre e si concludono a giugno. A settembre si prende servizio.
  • CNR: Possono passare anni tra la pubblicazione del bando e la conclusione dei lavori della commissione e l'effettiva presa di servizio. Ad esempio per l'ultima tornata di bandi, usciti nel 2007, i concorsi si sono conclusi nel 2009. Dopo due anni.

Per concludere: la beffa finale è che il sito del CNR riporta in bell'evidenza un annuncio in inglese dei suddetti bandi di concorso (che come abbiamo visto sono rigorosamente in italiano!), secondo quanto riportato in un'intervista a Maiani anche su Nature e Science. A chi deve servire questo annuncio, visto che per fare domanda occorre (almeno!) una "adeguata conoscenza della lingua italiana"?

(Si ringrazia Francesco Zamponi per la consulenza sul reclutamento del CNRS. Si rimanda a questa accorata lettera scritta dallo stesso Zamponi e da alcuni suoi colleghi vincitori di un posto CNRS in cui tra l'altro mettono in evidenza che "Tra le varie classi di concorso, una in particolare, CR2, è tradizionalmente riservata a giovani al di sotto dei 31 anni. Nella sezione 02 (“fisica teorica”) su sette ammissibili quattro sono italiani...In particolare due italiani sono i primi due classificati. " Sarà un caso ? )

Concorsi al CNR


Estratto dal libro " I ricercatori non crescono sugli alberi

....Ci potremmo chiedere quanti siano gli stranieri che vincono concorsi al CNR. Ma la domanda è retorica: per poter vincere, uno straniero dovrebbe prima capire cosa c’è scritto sul bando e riuscire a districarsi in una giungla legale fatta di dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà e copie conformi all’originale. La procedura di un concorso al CNR è una pantomima avvilente per chiunque vi partecipi. Innanzitutto il vincitore è spesso già indicato dal bando, che prevede profili scientifici estremamente ben definiti....

.... L’ipotesi che un istituto possa scegliere di assumere un dato candidato potrebbe anche essere ragionevole. Eppure il concorso va svolto in ogni caso. Questo prevede per i ricercatori due prove scritte ed una prova orale. Inoltre, in alcuni casi, deve essere accertata la conoscenza della lingua inglese e dell’informatica. Per i concorsi da primo ricercatore è prevista invece solo una prova orale con domanda in busta chiusa volta ad appurare la conoscenza del tema specifico del concorso che, come abbiamo visto, è spesso molto specifico. Il tutto si riduce, come nel caso dei concorsi universitari, ad un’inutile pantomima in cui il candidato è scelto comunque in maniera arbitraria, senza che nessuno se ne prenda la responsabilità diretta. Senza contare poi lo spreco di tempo e delle risorse necessarie per svolgere il concorso....

...Senza buonsenso e onestà da parte della commissione, non c’è criterio numerico che tenga. Di certo, assegnare un punteggio all’anzianità di servizio è una misura ingiusta. Se si vuole premiare in qualche modo l’anzianità, basterebbe stabilire come norma la valutazione della produzione complessiva del candidato. In questo modo i candidati più anziani, se validi, avranno in media prodotto di più. Ma affermare che bisogna privilegiare non solo l’anzianità, ma addirittura l’anzianità all’interno del CNR, sembra un giudizio corporativo, perché penalizza un ricercatore di valore solo perché ha lavorato per un certo numero di anni in un altro ente o in condizione di precarietà....


  • Segnaliamo un articolo (Gianni Trovati, Il Sole 24 ore del 01/2/2010) in cui, descrivendo il maxi concorso appena avviato, si mette in risalto "la corsia preferenziale per i candidati interni" ... Per aderire a tanta precisione, può risultare utile essersi gia' dedicati nel Cnr proprio a questi filoni di ricerca; tanto più che il "servizio prestato al Cnr" è un "titolo specificamente valutabile" che può valere otto punti....
  • Segnaliamo anche un articolo di Daniele Archibugi (Il Sole 24 ore del 01/2/2010) in cui si esaminano i bandi mettendo in evidenza che "Tuttavia l'eterna battaglia tra riformisti e conservatori continua all'interno di tutte le istituzioni. Se ne trova conferma anche in questi bandi... Ma si rimane sorpresi che alcune tematiche di lavoro siano estremamente ristrette per posti a vita...."

martedì 23 marzo 2010

Riforma Gelmini. A pensar male si fa peccato…(di Marco Catteneo, Blog "Le Scienze")


Segnaliamo questo post di Marco Cattaneo nel suo blog "Made in Italy"

in cui fa un'analisi della "Riforma Gelmini". Tra l'altro scrive


....Eppure questa riforma trova un deciso sostegno presso molti autorevoli commentatori. Di sicuro ha trovato una fonte di ispirazione nell’appassionato libro di
Roberto Perotti L’università truccata, che metteva impietosamente a nudo il degrado del sistema universitario italiano. Salvo non essere perfettamente corretto nelle analisi. Molto meglio, se posso permettermi un consiglio di lettura I ricercatori non crescono sugli alberi, di Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, due giovani ricercatori universitari che leggono in modo meno parziale e più profondo i mali dell’università, provando a vedere soluzioni intelligenti. Ma la riforma Gelmini gode anche di altre “buone recensioni”, non ultime quelle di Francesco Giavazzi – forte sostenitore della riforma dell’Università, che alcuni chiamano, in giro per il web, Giavazzi-Gelmini, tanto gli è estranea – sul “Corriere della Sera”, e di Luigi Zingales sull’Espresso.

Possibile che le critiche più feroci all’università pubblica vengano tutte, o quasi, da ambienti vicini o interni a una celebre università privata? “A pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina”. Le fonti la attribuiscono a Giulio Andreotti.

mercoledì 17 marzo 2010

Teniamoci stretto Il sapere pubblico ma la Minerva non va (Tonino Bucci Liberazione 26.2.2010)

Sul sapere pubblico non si scherza. L'università e la ricerca italiana sono costrette a tagli e cure dimagranti, ironia della sorte proprio mentre in altri paesi l'investimento sul sapere è la via maestra per uscire dalla crisi. Tagli, blocco delle assunzioni e, per venire a uno dei punti più contestati della riforma Tremonti-Gelmini, la riduzione del venti per cento del fondo di finanziamento ordinario delle università nei cinque anni a venire. Roba da far chiudere gli atenei. Per non parlare della famigerata fuga dei cervelli all'estero e dell'assottigliarsi dei fondi destinati alla ricerca.
E' solo una parte del problema, guai a dimenticarla d'accordo, ma sull'università ci sarebbe tanto altro da raccontare. A cominciare dall'età media avanzata del corpo docente, dal ricambio generazionale che non arriva mai, dall'immobilismo di un sistema che riflette un'Italia bloccata, in cui i figli fanno il mestiere dei padri. E, ancora, i baroni che fanno il bello e cattivo tempo, il meccanismo di selezione che non funziona più, i concorsi pubblici che fanno acqua da tutte le parti, la manipolazione delle regole e last but not least ricercatori costretti a lavorare da precari fin quasi l'età pensionabile. Il quadro che ne risulta è miserevole. Gli atenei italiani sono sospesi tra la conservazione di un sistema che produce precariato (per i molti) e privilegi (per i pochi) e la mortificazione di un sapere pubblico, sempre più giù nella lista dei pensieri dei governi che si sono succeduti in questi anni. Anzi, nell'opinione pubblica si è prodotta l'illusione di uno scambio impossibile, come se bastasse tagliare i finanziamenti per cancellare qualche interesse corporativo negli atenei. Chissà, se la sinistra desse meno l'impressione di voler conservare assieme al bambino anche l'acqua sporca, i precari ma anche i baroni, il sapere pubblico ma anche un sistema di relazioni poco trasparenti, riuscirebbe magari a togliere fiato alle argomentazioni della destra che proprio in nome delle degenerazioni del mondo accademico giustifica i tagli dei finanziamenti.
L'università italiana è una piramide alla cui base sono gli studenti, a loro volta sormontati da uno strato di ricercatori precari che è andato vieppiù crescendo negli ultimi anni - una fetta consistente di quello che ormai è chiamato il proletariato cognitivo dei paesi a capitalismo avanzato. Su in alto, alla punta, al vertice della piramide ci sono invece i docenti.Una pentola in ebollizione sul punto di esplodere. A dircelo sono le cifre, ad esempio quelle elencate con scrupolo da due ricercatori, uno Francesco Sylos Labini, otto anni di ricerca al Centro Enrico Fermi di Roma, studioso di astrofisica, l'altro Stefano Zapperi, fisico, attualmente a servizio al Cnr di Modena, autori assieme di I ricercatori non crescono sugli alberi (Laterza, pp. 120, euro 12). I dati confermano il quadro: una «classe dirigente accademica spesso inadeguata e in parte anche corrotta», il ricambio generazionale sempre più difficile, le leggi del pensionamento che in Italia «permettono la permanenza in servizio dei docenti ben oltre i 65 anni d'età», stipendi d'ingresso per i ricercatori «molto bassi» e le poche risorse concentrate «in maniera crescente sulla parte più anziana del corpo docente».
Vediamo qualche numero. Su 61.929 docenti (nella cifra sono raggruppati ordinari, associati e ricercatori) la percentuale di quelli sotto i 35 anni è appena il 5,7 per cento, il 25,5 è tra i 35 e 44, il 26,6 tra 45 e 54, il 30,6 tra 55 e 64 e, infine, il 12 con età maggiore di 65 anni (fonte Miur: http://statistica.miur.it). «Questa semplice analisi mette in luce due grandi anomalie: la percentuale bassissima di giovani (con età minore ai 40 anni) e l'alta percentuale di ultrasessantenni». I più sfortunati sono i fisici, «solo il 2% ha meno di 40 anni, mentre il 48% ha 60 anni o più (il 29,5% ha addirittura più di 65 anni!). Similmente squilibrate sono le distribuzioni di architettura e lettere». Non è sottovalutare, il ricambio generazionale. Incancrenito com'è lo squilibrio giovani-vecchi - con quel che ne consegue anche nei rapporti di potere - non è un caso che sul tema generazionale la destra radicale faccia propaganda. Non è passato molto tempo da quando i neofascisti provarono a infiltrarsi nel movimento studentesco dell'Onda proprio giocando sulla contrapposizione giovani versus vecchi, studenti versus baroni. Piccolo dettaglio, non sarà certo il taglio dei fondi a portare a nuove assunzioni.
Come pure da non sottovalutare sono gli scandali dei concorsi pubblici, le logiche parentali o clientelari con i quali i baroni scelgono il corpo docente. Precariato e strapotere accademico sono due facce della stessa medaglia. «Negli ultimi anni si è venuto a creare un ampio strato di giovani ricercatori qualificati e precari, ovvero con contratti di lavoro temporanei». Lunghi anni di studio alle spalle, esperienza di ricerca consolidata, ma nessuna possibilità d'essere assunti. Quanti sono? A voler fare una stima per difetto sono «circa un terzo del totale dei docenti universitari». In cima, il barone. Se ne potrebbe fare un ritratto antropologico, «una figura che non ha eguali in altre parti del mondo. Si tratta di un personaggio che dedica la maggior parte del proprio tempo ad architettare metodi sempre più sofisticati per controllare le assunzioni e le promozioni dei propri collaboratori». A volte, il barone «è stato un grande scienziato» ma non è più come un tempo, quando i «grandi maestri crevano importanti scuole di pensiero e di ricerca». Il sistema oggi è degenerato. Resta solo il reclutamento di «assistenti-schiavi».

martedì 16 marzo 2010

Fuga senza fine dall’Italia per cervelli brillanti (Domenico Ribatti, Gazzetta del Mezzogiorno 14 marzo 2010)



Fuga senza fine dall’Italia per cervelli brillanti «I ricercatori non crescono sugli alberi» di DOMENICO RIBATTI

La ricerca scientifica nel nostro Paese vive una condizione sempre più critica, per una cronica mancanza e riduzione dei finan ziamenti pubblici. Le cronache quotidiane riferiscono dei deficit di bilancio che interessano la maggior parte dei nostri atenei con la non tanto remota possibilità che possa essere messo a rischio anche il pa gamento degli stipendi dei dipendenti.
L’età media dei nostri ricercatori è una delle più alte nel panorama internazionale (una percentuale bassissima di giovani con una età media minore ai 40 anni ed una elevata percentuale di ultrasessantenni) e viene ali mentato una sorta di precariato scientifico che rende sempre più incerto l’avvenire dei più giovani, anche se questa considerazione in questa particolare contingenza storica si può estendere a tutto il mondo del lavoro. Così in Italia, l’unica opzione perseguibile per i giovani più brillanti e motivati pare essere quella di emigrare in altri Paesi.
In questa cornice si inscrive il saggio pubblicato da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi intitolato I ricercatori non crescono sugli alberi(Laterza ed., pp. 117, euro 12) che compiono una disamina su quelle che possono essere le motivazioni, facilmente intuibili in questo contesto così drammatico, che spingono molti dei nostri migliori ricercatori a lavorare all’estero ed ad incrementare la già numerosa colonia dei cosiddetti «cervelli in fuga».
Oramai la ricerca scientifica ha assunto una connotazione esclusivamente internazionale, la maggior parte delle riviste ed in ogni caso quelle più prestigiose sono scritte in lingua inglese, così come la ricerca di qualità viene svolta in uno spirito collaborativo coinvolgendo gruppi di diversa nazionalità (si pensi ad esempio ai progetti europei). Tutto questo contrasta con il localismo esasperato delle nostre università e dei nostri enti di ricerca, nel quale la mobilità dei ricercatori è frequentemente osteggiata e la carriera scientifica si compie in ambito locale, all’ombra del collega anziano, talvolta impropriamente definito maestro. Leonardo da Vinci, che di scienza pare se ne intendesse abbastanza, sosteneva che «tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro».

Gli autori di questo saggio sostengono che una vera riforma della nostra università e della ricerca scientifica nel nostro paese può cominciare solo attraverso una valutazione obiettiva dell'attività svolta dai singoli all'interno dei nostri atenei, avvalendosi di criteri riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale.

Questa valutazione costante dovrà costituire la base per la erogazione di finanziamenti e per l'attribuzione di nuovi posti di ricercatore, e solo in questo modo si potrà dare l'avvio ad circolo virtuoso che consentirà una volta per tutte di premiare i migliori e di contribuire alla creazione di una classe dirigente preparata e in grado di competere sullo scenario internazionale. Si auspica che tutto questo potrà servire a spingere finalmente la classe politica ad un intervento di riforma strutturale e risolutivo.

lunedì 15 marzo 2010

Prevedere i terremoti con il radon?




Nel nostro libro avevamo discusso brevemente del terremoto dell'Aquila, per descrivere il modo approssimativo con cui i media trattano dei temi scientifici. Avevamo scritto:

"Il caso Giuliani viene invece alla ribalta nazionale subito dopo il drammatico terremoto in Abruzzo nell’aprile 2009. Gioacchino Giampaolo Giuliani, 62 anni, tecnico di laboratorio dell’Istituto nazionale di fisica nucleare del Gran Sasso, ha avuto ampia risonanza sui media per l’invenzione di uno strumento, chiamato «precursore sismico », che darebbe la possibilità di prevedere un terremoto con un margine tra le 6 e le 24 ore, calcolandone epicentro, intensità e ipocentro. In effetti, il metodo sviluppato rivela l’emissione di gas radon intrappolato sotto la crosta terrestre che viene sprigionato, a volte ma non sempre, in concomitanza con i terremoti. Il problema scientifico consiste dunque nello stabilire l’entità della correlazione tra emissione di gas e terremoti. Consultando la letteratura in proposito si vede che la correlazione è difficile da stabilire, e che le previsioni non sono quindi affidabili. È perciò impossibile effettuare una previsione ragionevolmente precisa sulla zona e sul momento in cui il terremoto dovrebbe verificarsi. Non si possono evacuare interi territori per un lasso di tempo indefinito sulla base di un dato del genere. Si possono invece identificare con una certa precisione le zone maggiormente soggette a rischio sismico, e quindi agire di conseguenza investendo in infrastruttureadeguate e rendendo consapevole la popolazione. Dal dibattito pubblico sembra comunque essere assente il concetto che ogni scoperta scientifica debba seguire una dinamica stabilita: i risultati vanno pubblicati sulle riviste scientifiche del settore e dibattuti a livello internazionale."

Proprio in questi giorni alcuni colleghi dell'INGV hanno pubblicato un
articolo sulle emissioni radon dalle rocce sotto sforzo. Il risultato principale è che l'emissione di radon dipende dalla porosità delle rocce: a seconda dei casi questa può aumentare o diminuire ed è quindi impossibile utilizzare l'emissione di radon per prevedere un terremoto. Vedi il comunicato stampa emesso dall'INGV. Molti giornali però hanno scritto esattamente il contrario! Il messaggiero ad esempio titola: Studio italiano su radon: possibile prevedere sisma. Che altro dire?

Coltivare gli studi (Giuliano Milani, Internazionale 12 marzo 2010)




Chiunque abbia partecipato alla cena di un convegno internazionale sa che il funzionamento dell'università italiana è inspiegabile: le semplici domande degli stranieri e le complicate risposte di chi ci lavora lasciano un senso di insoddisfazione generale. Per evitare questa frustrazione gli uni e gli altri potrebbero ricorrere a questo libretto scritto da due ricercatori che, pur vivendo in Italia, sono abituati a dialogare con i colleghi di tutto il mondo. Forse perché sono specialisti di "fisica dei sistemi complessi" e dei "materiali disordinati", riescono dove altri hanno fallito. Spiegano come (non) funziona l'università in Italia, perché siamo arrivati a questo punto e propongono perfino soluzioni: sorvegliare procedure e risultati, favorire il diritto allo studio, coltivare attraverso fondi pubblici la ricerca di base, quella non destinata alle applicazioni immediate che interessano i privati. Come dicono gli autori, quando Einstein nel 1915 formulò la teoria della Relatività Generale, non aveva idea che ottanta anni dopo sarebbe servita a rendere precisi i navigatori satellitari. Se avesse mirato a qualcosa di più concreto della comprensione dell'Universo forse non ci sarebbe arrivato e, oggi, noi ci perderemmo più spesso.

venerdì 12 marzo 2010

Nebbia sull' Istituto Italiano di Tecnologia ed il mistero del rapporto scomparso


Estratto dal libro "I ricercatori non crescono sugli alberi"

"....L’IIT è una creatura del ministro Tremonti che nel 2003 lo ha dotato dell’ingente finanziamento pubblico di 100 milioni di euro annui, più di quanto viene stanziato per tutta la ricerca di base nazionale nei più diversi settori disciplinari con i progetti PRIN (Programmi di ricerca di rilevanza nazionale). Tra l’altro la maggior parte di questo finanziamento (circa 400 milioni di euro) non è stata ancora spesa, come denunciato recentemente da un articolo dell’
«Espresso».


È ancora presto per giudicare l’effettivo successo scientifico dell’IIT, perché i laboratori di Genova sono attivi da relativamente poco tempo. Sicuramente, date le risorse disponibili, i risultati arriveranno. Suscitano però perplessità le modalità con cui l’istituto è stato creato e il modo in cui viene gestito. L’intento dei promotori dell’IIT era quello di creare un’area di eccellenza su cui investire. Questa è senz’altro una cosa positiva ma dubitiamo che far nascere dal nulla un istituto, nominarne i vertici e dargli carta bianca per decidere cosa fare sia necessariamente la scelta migliore. Altri paesi, come ad esempio la Germania, hanno deciso di creare aree di eccellenza in modo completamente diverso, e cioè tramite una competizione basata sulla peer review cui potevano partecipare tutte le università tedesche. L’iniziativa tedesca ha fornito ingenti finanziamenti ad istituti e gruppi di ricerca, valorizzando quindi quanto di meglio era presente nel paese. Alla fine, per essere competitivo, l’IIT ha dovuto fare lo stesso: selezionare nel paese alcuni gruppi di eccellenza e finanziarli. La differenza sostanziale è che in Germania la procedura è stata pubblica, valutata da terzi, ed aperta a tutti, mentre l’IIT ha scelto chi finanziare in maniera del tutto autonoma. I collaboratori sono senz’altro eccellenti, ma sono il meglio che si poteva trovare sulla piazza? ...

.... E, infatti, critiche pesanti sono giunte dalla prestigiosa rivista «Science» che ha recentemente dedicato un
ampio servizio all’IIT. Nell’articolo vengono riportate le dichiarazioni di alcuni scienziati di prestigio che erano stati chiamati a progettare l’istituto e i cui suggerimenti sono stati completamente ignorati. La loro impressione è ora quella di essere stati usati come specchietto per le allodole, per coprire scelte arbitrarie. .Nell’articolo si parla inoltre di un fantomatico rapporto, commissionato dall’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, che giudicava molto negativamente l’attività dell’IIT. Questo rapporto non è mai stato reso pubblico dall’ex ministro che per «correttezza istituzionale» lo ha passato al suo successore, il quale si è ben guardato dal divulgarlo. Tutto ciò a conferma della nebbia che ancora avvolge l’IIT."

Altri documenti:


(1) Dibattito aperto dal blog di Marco Cattaneo su «Le Scienze» nel dicembre 2008 sulla mancanza di criteri di trasparenza e valutazione scientifica dell'IIT ai quali sono invece sottoposti in Italia enti di ricerca e università



(2) I deputati Bachelet, Tocci e Ghizzoni hanno fatto una interrogazione parlamentare il 16/12/2009 per sapere "quando e con quale modalità si intenda rendere pubblico il rapporto indipendente commissionato nel 2007 dal Ministro dell'economia e delle finanze Tommaso Padoa Schioppa, affinché Parlamento e contribuenti possano autonomamente valutare se la prosecuzione e anzi l'aumento straordinario dei finanziamenti pubblici stabilito con il decreto-legge sia o meno congruo con il contenuto di quel rapporto, allora fresco di stampa"

Con riferimento ai risultati dell'attività svolta dal «Comitato di Valutazione 2007», si fa presente
che non risulta pervenuta copia del relativo rapporto né al Ministero dell'Economia e delle Finanze,
Dipartimento del Tesoro, né all'istituto in questione.


(4) Replica di Bachelet in commissione : Giovanni Battista BACHELET
(PD), replicando, si dichiara totalmente insoddisfatto. Rileva come l'esistenza del rapporto commissionato nel 2007 dal Ministro
pro tempore Padoa Schioppa in materia di valutazione dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) sia stata confermata dagli estensori stessi del rapporto, da lui interpellati, nonché dallo stesso Professor Padoa Schioppa. ....Quindi rileva che ci si trova in una situazione paradossale in cui gli estensori dichiarano di averlo consegnato e che solo il Governo ha l'autorità per divulgarlo mentre l'Esecutivo dichiara di non possederlo. Osserva che è difficile capire cosa significhi questa risposta cioè se essa voglia sottolineare che nella burocrazia si perdono documenti rilevanti oppure se si voglia operare una burla nei confronti del deputato interrogante.

(5) Su
Il Mondo del 12 marzo 2009 si chiede ancora chiarezza sulla gestione dell'IIT e sul rapporto di valutazione mai pubblicato: ....Negativo, invece, il giudizio sulla governance dell’ente dove il presidente è, da sempre, Vittorio Grilli. Che ricopre anche la carica di direttore generale al Tesoro. Dunque, in una stessa persona il ruolo di controllore e controllato.....





giovedì 11 marzo 2010

IL declino delle università americane


In questo articolo di Bill Costello, dal titolo The Decline of America's Universities
pubblicato da
Asia sentinel, si mettono a confronto le classifiche internazionali delle università degli ultimi cinque anni. Il punto fondamentale che si mette in risalto è che diminuisce il numero di università americane tra le prime cento del mondo, si consolidano quelle coreane ed aumentano quelle cinesi. In prospettiva, se i finanziamenti non aumenteranno dimenticando il famoso motto di Benjamin Franklin "L' investimento nella conoscenza paga i migliori dividendi", gli Stati Uniti perderanno la leadership mondiale dell'innovazione.

"...I am not surprised when I read about Asian nations making enormous investments in their universities. Asian nations are investing to produce massive numbers of innovative people who can contribute significantly to economic growth...
The goal of Asian nations is to create world-class universities that surpass US universities.... Without increased investment, the US will no longer have the best universities in the world, will no longer be the world's innovation leader, and will no longer have the world's largest economy. It's time for the U.S. to increase, not reduce, university funding. As the American patriot, inventor, and philosopher Benjamin Franklin put it, "An investment in knowledge pays the best dividends."

mercoledì 10 marzo 2010

I ricercatori? Non crescono sugli alberi. Intervista a due cervelli tornati in Italia




(Intervista a cura di Claudia Bruno, sito Universita.it)


“I ricercatori non crescono sugli alberi”, non è solo un monito a metà tra l’ironia e la voglia di cambiare le cose, ma è anche il titolo del libro appena pubblicato da Laterza. Un saggio che introduce e dettagliatamente spiega la situazione attuale della ricerca in Italia, attraverso la testimonianza diretta di due ricercatori del Cnr, Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi. Entrambi fisici, entrambi specializzati all’estero. Cervelli fuggiti, insomma, ma poi tornati a fare ricerca in Italia. Li abbiamo intervistati.

Molti studenti universitari hanno smesso di pensare alla ricerca come una possibilità di futuro. Chi è il ricercatore, che tipo di giornate vive, e soprattutto vale ancora la pena sognare una vita da ricercatore?

Fare ricerca è sicuramente un privilegio, quando lo si fa con passione. Un ricercatore ha il privilegio di essere pagato per pensare e per risolvere problemi che spesso lo assorbono completamente anche oltre il normale orario di lavoro. In Italia purtroppo le capacità e l’iniziativa dei giovani sono spesso soffocate da un sistema che non ha nessun interesse a valorizzarli. Inoltre non dimentichiamoci che la ricerca dovrebbe essere un settore di importanza strategica per un paese come il nostro. Solo la capacità di innovazione ci può permettere, nel lungo periodo, di competere con i paesi emergenti in cui la mano d’opera costa meno di un decimo che da noi. Solo la ricerca potrà dare delle risposte alla crisi ambientale ed energetica.


Quali sono stati i motivi della progressiva separazione tra i due principali compiti dell’Università – l’insegnamento e la ricerca – e quali potrebbero essere le conseguenze a lungo termine di questo modello culturale?
Prosegue sul sito Universita.it

martedì 9 marzo 2010

Un libro sulla situazione della ricerca in Italia (Redazione Ulisse)


I ricercatori non crescono sugli alberi è il nuovo libro di
Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, pubblicato da
Laterza (p. 118, 12 euro). Il libro non solo passa in rassegna gli eterni problemi del sistema della ricerca scientifica e
dell'università, ma propone dei possibili internventi. Riportiamo qui un brano tratto dal capitolo La politica e la ricerca:

È interessante chiedersi se i problemi dell’università – ed i temi legati alla ricerca scientifica, dallo scenario energetico al cambiamento climatico, per fare degli esempi – siano affrontati e dibattuti dagli schieramenti politici in maniera seria ed approfondita. È chiaro che la discussione su queste tematiche non può essere affrontata solamente in un talk show televisivo a forza di battute ad effetto, ma richiede un’analisi rigorosa e dettagliata poiché la ricerca scientifica, fondamentale ed applicata, dovrebbe rivestire un ruolo strategico per il paese. A lungo andare lo sviluppo economico, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, dipende dalla capacità di produrre innovazione: purtroppo in Italia vi è stata storicamente una scarsa considerazione per la ricerca scientifica sia da parte dei governi che da parte degli industriali, con alcune lodevoli eccezioni, sebbene più nel passato che ai giorni nostri. Esaminiamo, come esempio, ciò che è accaduto nelle ultime campagne elettorali. Agli inizi del 2006 il professore Enrico Bellone, direttore di una nota rivista italiana di divulgazione scientifica, «Le Scienze» – edizione italiana della rivista divulgativa «Scientific American» –, ha pensato di riproporre in Italia un’iniziativa della prestigiosa rivista britannica «Nature», tra le più influenti su scala mondiale per le questioni scientifiche, sia tecniche che politiche. Questa rivista, in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi, prepara ogni volta una serie di domande sulla scienza e sullo sviluppo tecnologico che invia ai due candidati in modo che questi possano esprimere le loro proposte politiche al riguardo. In questo modo, le diverse posizioni dei due contendenti su questioni cruciali della ricerca scientifica e della tecnologia possono essere affrontate in maniera seria ed approfondita, permettendo ai lettori di capire quale sia l’atteggiamento dei due candidati. Il professor Bellone ha pensato di ospitare su «Le Scienze» un’analoga esposizione dei programmi sulla scienza, sull’università e sulla tecnologia dei due candidati a primo ministro alle elezioni del 2006, formulando dieci semplici domande. Prodi ha risposto e le sue idee sono state pubblicate a ridosso delle elezioni, mentre Berlusconi non ha mandato le sue risposte. Si potrebbe spiegare questo rifiuto di rispondere a «Le Scienze» con il disinteresse verso un mondo sentito come ostile, considerato inutile a fini politici, ma anche in quanto le modalità comunicative di questa rivista, un serio approfondimento riflessivo, sono opposte al suo stile di campagna elettorale. In effetti, lo scarso interesse, o la palese ostilità, per le questioni scientifiche ed universitarie si era reso evidente nelle scelte del secondo governo Berlusconi (2001-2005). Ricordiamo i tagli dei finanziamenti alle università, il blocco delle assunzioni che ha aggravato il problema del precariato scientifico e universitario, la ristrutturazione degli enti di ricerca che non ha tenuto in alcun conto la valutazione che di questi enti era stata appena fatta da un apposito Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIRV). Va detto, però, che anche il breve secondo governo Prodi (2006-2008) non ha fatto sostanzialmente nulla per l’università e la ricerca, nonostante questi temi fossero stati al centro della campagna elettorale. Infine, per le elezioni del 2008 non vi è stato alcun accenno di discussione su tematiche
connesse alla ricerca e all’università. I risultati si sono visti con l’attività del nuovo governo che ha provveduto subito a tagliare ulteriormente i finanziamenti.

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