"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




lunedì 24 maggio 2010

Per una riforma del sistema universitario e della ricerca


di Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi


(Articolo pubblicato sul numero 5-6 della rivista Ricerca della FUCI )



Il sistema italiano dell’università e della ricerca si trova in una situazione molto critica. Sono diversi i fattori che hanno contributo a creare una situazione che sta rapidamente distruggendo le poche eccellenze universitarie di questo paese. Una politica miope e scarsamente interessata al problema della programmazione del sistema universitario, una classe dirigente accademica inadeguata ed in parte anche corrotta, gruppi di pressione a diversi livelli che hanno sempre anteposto l’interesse particolare a quello generale. Forse tra i tanti problemi, il principale è che la ricerca in Italia sia trattata come una sorta di bene di lusso cui si può rinunciare quando i soldi scarseggiano e questo succede indipendentemente dal colore politico del Governo in carica. Tuttavia, per restare ai tempi più recenti, bisogna distinguere quello che ha fatto l’ultimo governo Prodi da quello che hanno fatto i due governi Berlusconi. Nel primo caso c’è stata una gestione disattenta ed approssimativa accompagnata da dichiarazioni roboanti su quello che si sarebbe voluto fare per l'università e la ricerca. Ci sono stati dei tagli, ma sono stati limitati. Si sono fatte delle cose sbagliate, come ad esempio la stabilizzazione dei precari degli enti di ricerca, ma soprattutto non c'è stata l'attenzione e la cura necessarie verso il sistema università-ricerca che il caso avrebbe richiesto. Ma con il governo Berlusconi i tagli sono stati enormi, tanto che alcune università non saranno in grado di pagare gli stipendi ai propri docenti nel prossimo futuro. E le riforme sono state a senso unico: rafforzare i forti, i baroni, i rettori, prendendosela con i deboli, ovvero con chi sta ancora ai margini del sistema universitario. Il fatto è che il “ritorno” per l'investimento sull'istruzione superiore e la ricerca richiede tempi lunghi, così come un intervento di riforma serio. Nessuno ha il tempo, la voglia e le capacità di gestire questo sistema, a partire da questa classe politica e fino alla classe dirigente dell'accademia e degli enti di ricerca (sempre con le dovute e sparute eccezioni).


venerdì 21 maggio 2010

Problemi tecnici e problemi sostanziali



In questo
articolo pubblicato su Il Fatto si riportano alcune considerazioni del Rettore di Roma 1 Luigi Frati che ... ha dichiarato che il DDL Gelmini presenta “illogicità manifeste” che vanno cambiate. .... Poi il problema dei ricercatori: “Mentre si progetta un nuovo sistema di reclutamento dei ricercatori, con contratti a termine che precedono la possibile assunzione come professori associati – ha spiegato Frati – non si sa se ci saranno le risorse perché poi ci siano effettivamente i posti. E con quali soldi ? E che sarà degli altri 20 mila ricercatori che ci sono già nell’università? C’è un problema tecnico evidente”.

Queste considerazioni sono talmente ovvie che considerare questi problemi come "tecnici" è perlomeno riduttivo. Questi sono problemi sostanziali di una legge completamente sbagliata, che non affronta i problemi reali dell'università e che tocca alcuni punti (ricercatori, valutazione, governance,...) proponendo delle soluzioni inadeguate e coperte da una cortina fumogena di parole usate con significato distorto.

Ad esempio, come abbiamo scritto qualche mese fa nel DDL Gelmini e nelle discussioni di questo, c'è una voluta confusione sul significato delle parole:

La tenure track americana è un contratto che alla fine di un periodo di prova, in genere di cinque anni, prevede l'assunzione a tempo indeterminato se la valutazione è positiva. E' quindi prevista da subito la copertura finanziaria per l'eventuale posizione tenured. Nella versione italiana invece, la conferma nel ruolo di associato avviene dopo il conseguimento di un giudizio di idoneità nazionale ed il superamento di un concorso locale, senza prevedere dall'inizio la copertura finanziaria per il posto permanente.

martedì 18 maggio 2010

Pensionamento e giovani

Ritorniamo sul problema dell'invecchiamento dei docenti universitari, tema che abbiamo affrontato varie volte nel passato (con varie polemiche) come anche nel libro "I ricercatori non crescono sugli alberi". Il Partito Democratico ha recentemente elaborato un documento dove si propone di abbassare l'età pensionabile a 65 anni. Non possiamo che essere d'accordo con una tale proposta che d'altronde coincide con quanto abbiamo scritto negli ultimi 5 anni sull'argomento. Tuttavia, come spiegato nel libro, una iniziativa del genere dovrebbe far parte di un quadro di riforme che prenda in considerazione vari aspetti sia del pensionamento che del fenomeno del precariato prolungato. Scrivevamo infatti nel libro:

Se da un lato l’abbassamento dell’età pensionabile è auspicabile, almeno per rimetterci in linea con gli altri paesi sviluppati (e non!), dall’altro è chiaro che l’innalzamento dell’età alla quale si viene assunti nel mondo universitario aggraverà la situazione dei nuovi dipendenti. La diminuzione dell’età pensionabile funzionerà a tutto danno proprio delle ultime generazioni, quelle più penalizzate dalla situazione che si è creata negli ultimi tre decenni. Chi è assunto a 40 o 45 anni riuscirà ad andare in pensione con un’anzianità contributiva che gli permetta di sopravvivere dignitosamente?


Il problema è dunque di importanza fondamentale per qualsiasi tentativo serio di riforma (e l'attuale Gelmini disegno di legge semplicemente non lo considera). Ma insieme a questo c'è il problema del pensionamento massiccio che inevitabilmente avverrà nel prossimo decennio quando il famoso"tsunami" arriverà alla costa dell'età pensionabile. Si può stimare che 1/3 dei docenti attuali andranno in pensione dell'arco di pochi anni (vedi la figura a lato che mostra la distribuzione in età dei docenti universitari nel 1997 e nel 2008), mentre il numero di precari è stimato essere dello stesso ordine di grandezza del numero di docenti di ruolo (circa 60,000 unità). Di nuovo, un tentativo di riforma serio, come pure un'opposizione politica consapevole e responsabile, dovrebbe tenere presente la dimensione di questi fenomeni e capire quali siano le conseguenze per l'università per intervenire in tempo. Senza lasciare che sia il sistema stesso a cercare da solo delle vie di sopravvivenza (docenti a contratto) e senza creare le condizioni per una massiccia ope-legis. Mentre si capiscono le mire della riforma Gelmini, lo smantellamento dell'università pubblica, non si riesce a capire perché l'opposizione parlamentare del PD non riesca ad uscire da uno stato di subalternità culturale ed elaborare delle proposte sistematiche per una riforma del sistema universitario e della ricerca che tengano in considerazioni quali siano i problemi reali dell'università, sia attuali che in prospettiva. L'abbassamento dell'età pensionabile è sì una proposta concreta che va nella direzione giusta, ma deve essere integrata da una visione lungimirante del ruolo dell'università che non si riesce a capire quale sia.

giovedì 13 maggio 2010

Presentazione a Bologna

Nell'ambito degli incontri sull’università - Il governo del sistema universitario - Internazionalizzazione della ricerca (dal 14 aprile al 26 maggio 2010) Sandro Mezzadra - (Università di Bologna) presenta il libro I ricercatori non crescono sugli alberi - Laterza, 2010 e ne discute con gli autori Stefano Zapperi e Francesco Sylos Labini Mercoledì 26 maggio ore 16 Aula di Dipartimento "Carlo Arturo Jemolo"- Strada Maggiore 45 - Bologna

venerdì 7 maggio 2010

Priorità

Nel libro "I ricercatori non crescono sugli alberi" abbiamo scritto che

"Nell’analisi del sistema universitario, il primo dato importante da considerare riguarda la distribuzione delle età del corpo docente, intendendo con questo la somma di professori ordinari, associati e ricercatori, pari a 61.929 unità. Questi sono ripartiti in maniera quasi uguale tra le tre classi, ovvero vi sono (sulla base degli ultimi dati disponibili relativi al 2007) 19.625 professori ordinari, 18.733 associati e 23.571 ricercatori. … Troviamo una percentuale minima di docenti sotto i 30 anni (1,8%), il 14% tra 30 e 40, il 28% tra 40 e 50, il 29% tra 50 e 60 ed il 27% con età maggiore di 60 anni, di cui il 14% con età maggiore di 65 anni. Questa semplice analisi mette in luce due grandi anomalie: la percentuale bassissima di giovani (con età minore ai 40 anni) e l’alta percentuale di ultrasessantenni. Quando poi si analizzano separatamente le varie classi disciplinari si trovano delle differenze interessanti. Ad esempio, gli ingegneri hanno una classe docente con meno anziani e più giovani, mentre un caso particolarmente sfortunato, almeno dal punto di vista dei giovani, è quello dei fisici, in cui solo il 2% ha meno di 40 anni, mentre il 48% ha 60 anni o più (il 29,5% ha addirittura più di 65 anni!)."

Nella figura a fianco riportiamo il confronto tra la distribuzione in età dei docenti universitari in fisica italiani (prof. ordinari + associati + ricercatori) e quelli francesi (*) (maitre de conference e prof.). Non c'è bisogno di un'acuta analisi statistica per capire dove sia il problema. In Francia ci sono i "giovani", in Italia no, perché il 2% di cui sopra è semplicemente una percentuale senza senso. In Francia inoltre non c'è l' enorme percentuale di ultrasessantenni presente in Italia. Di questa situazione ne abbiamo parlato a lungo non solo nel libro ma anche in una serie di articoli (vedi qui). Per iniziare a pensare a come riformare l'università è necessario partire da questa analisi perché in questo grafico vi si possono leggere tanti tra i problemi che affliggono il sistema italiano: precariato, assenza di giovani, baronie, gerontocrazie, ecc, ecc. Questo non implica che il problema della governance, tanto caro ai nostri amici in parlamento e tanto centrale nella riforma Gelmini ora in discussione, non sia poi importante. Ma il punto politico è saper capire la priorità nei problemi, e la gerarchia nelle soluzioni. Se non si identificano le cause dello sfascio attuale, i problemi si perpetueranno a prescindere dal fatto che ci sia o meno un consiglio di amministrazione al fianco (al di sopra) del Senato accademico.

(*) I dati francesi sono stati pubblicati da Francesco Lissoni, Jacques Mairesse, Fabio Montobbi, Michele Pezzoni nell'articolo "Scientific Productivity and Academic Promotion: A Study on French and Italian Physicists" (forthcoming su Industrial and Corporate Change) di cui consigliamo la lettura per il dettagliato studio.