"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




mercoledì 9 giugno 2010

Depressive package

In risposta alla crisi, nel 2009 Obama ha varato lo "stimulus package" per cercare di rilanciare l'economia americana. Il pacchetto di misure prevedeva un finanziamento straordinario di 16 miliardi di dollari alla ricerca: il budget delle principali agenzie di finanziamento della ricerca (NSF, NIH) è stato praticamente raddoppiato. Qui in Italia invece il governo ha appena varato il "depression package" che elargisce sonore bastonate alla ricerca e ai ricercatori. Se questa manovra sarà efficace a combattere la crisi lo vedremo, possiamo però prevedere che gli effetti sulla ricerca saranno nefasti.

A parte i vari accorpamenti e la soppressione di enti di cui si è molto parlato, la manovra contiene altre misure che colpiscono la ricerca. Gli stipendi dei ricercatori vengono bloccati per quattro anni e così i rinnovi dei contratti. Si perde quindi l'unica possibilità di progressione esistente in Italia, quella per anzianità, dopo che il governo aveva annunciato più volte incentivi dati in base al merito e alla produttività. Si passa quindi a disincentivi generalizzati. Vengono dimezzate le spese di missione a partire dal 2011: questo limiterà la partecipazione ai congressi, la cooperazione internazionale e le collaborazioni. Tutte cose fondamentali per la ricerca, soprattutto per un paese provinciale come l'Italia. Vengono poi ridotte a metà anche le spese per i contratti a tempo determinato, impedendo quindi di assumere post-doc e di rinnovare contratti al personale esistente. Infine viene confermato il parziale blocco del turn-over. Tutte queste misure vengono presentate come un taglio agli sprechi della pubblica amministrazione, mettendo nello stesso calderone le spese dei ministeri con quelle degli enti di ricerca. Notiamo che la maggior parte delle spese per missioni e contratti negli enti di ricerca non gravano certo sui fondi ordinari (praticamente assorbiti da costi fissi) ma su fondi esterni (europei, industriali, etc). Non è chiaro se su questi fondi varranno i vincoli di spesa (il testo della manovra non lo precisa), ma se così fosse sarebbe paradossale. Perché mai i ricercatori dovrebbero sforzarsi di cercare fondi, scrivendo progetti, se poi questi soldi non potranno essere spesi? Perché impegnarsi nella ricerca, se la propria carriera è di fatto bloccata per legge?

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