"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




giovedì 1 luglio 2010

Ohibò, la Gelmini è su Nature


C’è grande agitazione nel mondo universitario contro la riforma Gelmini e la manovra economica. Anche una rivista scientifica prestigiosa come Nature ha appena pubblicato un editoriale dal titolo “Gli scioperi potrebbero “rompere” le università italiane”. Ma non sono gli scioperi a minare il funzionamento dell’università quanto invece la politica del governo.

I ricercatori, che sono circa un terzo del personale docente universitario, minacciano uno sciopero il prossimo anno, per protestare contro le modifiche introdotte dalla riforma Gelmini riguardanti proprio questo ruolo. Il DDL Gelmini elimina infatti la figura del ricercatore a tempo indeterminato, sostituendola con una tenure-track, una posizione tipica del sistema americano. Con un piccolo dettaglio di differenza: la versione italiana è tutta un’altra cosa ! L’uso a sproposito delle parole è uno degli elementi usati per creare confusione e coprire scelte sbagliate.

Infatti, quando si dichiara che si vogliono importare in Italia alcuni elementi propri del sistema americano, per rendere più competitivo il sistema, è più difficile controbattere, visto che la percezione comune è che il sistema americano sia di gran lunga migliore di quello italiano. Ed infatti il PD, quasi sempre a rimorchio, sembra essere favorevole a queste modifiche, sebbene con diverse sfumature. Il trucco è però molto banale.

La tenure track americana è un contratto che alla fine di un periodo di prova, in genere di cinque anni, prevede l’assunzione a tempo indeterminato se la valutazione è positiva. E’ quindi prevista da subito
la copertura finanziaria per l’eventuale posizione tenured.

Nella versione italiana invece, la conferma nel ruolo di associato avviene dopo il conseguimento di un giudizio di idoneità nazionale ed il superamento di un
concorso locale, senza prevedere dall’inizio la copertura finanziaria per il posto permanente: si tratta dunque di normali contratti a tempo determinato, seguiti da una eventuale assunzione come professori associati, nel caso in cui si ottenesse l’idoneità nazionale e vi siano le risorse per farlo.

Dunque mentre si progetta un nuovo sistema di reclutamento dei ricercatori, con contratti a termine che precedono la
possibile assunzione come professori associati, non si sa se ci saranno le risorse perché poi ci siano effettivamente i posti: in altre parole si tratta di uno specchietto per le allodole.

Inoltre si pone un altro problema che il DDL Gelmini non considera: che sarà degli altri 20 mila ricercatori che ci sono già nell’università? Con la messa in esaurimento del ruolo di ricercatore e l’istituzione di nuove
regole per l’accesso alla fascia degli associati, pensate per le cosiddette tenure-track, le prospettive di carriera per gli attuali ricercatori diventano incerte, oltre al fatto che il ruolo del ricercatore
viene ulteriormente marginalizzato con l’esclusione dagli organi accademici.

La soluzione a tutti questi problemi sarebbe stata invece molto semplice: mantenere la figura del ricercatore e rendere invece più seria e rigorosa la conferma in ruolo dopo i primi tre anni (come già dovrebbe essere). Questa sarebbe stata una vera tenure-track che non avrebbe creato problemi di sorta. Da questa analisi risulta evidente quale sia il disegno che sta dietro la riforma Gelmini: il ridimensionamento dell’università italiana pubblica, invece di “dare spazio ai giovani” e “limitare i potere dei baroni” – altri slogan usati a sproposito.


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