"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




lunedì 18 ottobre 2010

Blocco del Ddl Gelmini

Verrebbe da dire: chi di spada ferisce di spada perisce. Dopo il blocco delle assunzioni negli enti di ricerca ed il blocco del turnover, misure che negli ultimi dieci anni hanno distrutto le prospettive di carriere per migliaia di giovani ricercatori, ora assistiamo al blocco del Ddl Gelmini. Il motivo è molto semplice: senza risorse non si va da nessuna parte. In questo senso il giudizio sul Ddl Gelmini non può essere isolato dagli altri provvedimenti varati da questo governo a partire dal taglio del 20% al fondo di finanziamento ordinario delle università (legge 133/2008, approvata in 5 minuti senza alcuna discussione pubblica) che sta mettendo, letteralmente, sul lastrico le università italiane. E’ chiaro che una riforma senza risorse non è possibile ed infatti il Ddl Gelmini è stato bloccato proprio per non avere la copertura finanziaria nell’unico punto in cui incrementa la spesa, ovvero la richiesta di 9000 posti di professore associato richiesti per dare uno sbocco possibile ai 25000 ricercatori attuali. Questo è avvenuto in quanto nella riforma è prevista una nuova procedura di accesso al posto di professore associato tramite la cosiddetta (con un malizioso uso delle parole) tenure-track (TT) ed in quanto il ruolo di ricercatore universitario viene messo in esaurimento. Questa situazione provoca dunque uno stallo: come fanno gli attuali ricercatori a fare dei concorsi per professore associato se a questa posizione si dovrebbe accedere solo con la TT ?

Per risolvere questo puzzle il legislatore non ha saputo fare niente di meglio che promettere i 9000 posti in aggiunta a quelli ordinari che si sbloccano con il pensionamento dei docenti già in ruolo. A me sembra che questa sia una soluzione estemporanea e malfatta che comunque non soddisfa le richieste degli attuali ricercatori. Una riforma sensata deve prendere le sue mosse dalla situazione esistente e non ignorarla a priori, perché altrimenti genera più problemi di quanti ne risolve. Infine vorrei notare che i 9000 posti di associato, contenuti in un emendamento della commissione cultura a settembre (quando la situazione era già chiara in questo senso dal 1980), sono stati considerati proprio per venire incontro alle richieste dei ricercatori universitari ed in particolare alla loro rete 29 aprile, che ha dichiarato l’indisponibilità a fare lezione, attendendosi scrupolosamente a quanto previsto dalla legge attuale: i ricercatori non sono tenuti a fare lezione. In breve, lo stallo in cui il Ddl si trova adesso è frutto della miopia che ha guidato il legislatore e della determinazione dei ricercatori a non accettare una riforma che di fatto li mette in un ruolo marginale e gli azzera le prospettive di carriere.

Uno degli aspetti del Ddl Gelmini che viene spesso citato in maniera elogiativa è l’ introduzione della valutazione (tramite per il momento un agenzia apposita, l’Anvur, tra l’altro già prevista dal MinistroMussi e che per il momento è una scatola vuota) . A mio avviso non ha senso perseguire una valutazione senza risorse, come è insensato tagliare in modo indiscriminato tutti. Dunque si passerà dagli slogan ai fatti quando si introdurrà un meccanismo di premio/punizione (per i singoli o al massimo per i dipartimenti e non per gli atenei, strutture troppo inerziali per cambiare in un lasso di tempo ragionevole) in base ai risultati ottenuti, ma per il momento non ci sono stati segnali incoraggianti in questo senso. Non si può solo promettere e tagliare. Inoltre una seria volontà di riforma si dovrebbe misurare considerando i problemi che risolve senza crearne degli altri. Fare una riforma senza risorse finanziarie è impossibile, ma di sicuro ci sono tante cose che si potrebbero fare a costo zero e sulle quali non si è intervenuti minimamente.

Esempi: far svolgere i concorsi nello stesso periodo dell’anno, aumentare la trasparenza nei concorsi, incentivare la mobilità e disincentivare le assunzioni di personale “locale”, rendere comprensibile il bando di un concorso anche ad una persona normale, introdurre delle correlazioni tra retribuzione e merito, incentivare il meccanismo delle overhead (le overhead sono quelle percentuali di fondi che vengono attribuite ai dipartimenti o all’università per le spese generali, quando un ricercatore universitario ha una ricerca  finanziata da fonti esterne all’università: le overhead sono detratte dai fondi per la ricerca a disposizione del ricercatore. In Italia le overhead sono praticamente zero, mentre in Europa si aggirano su 20 per cento e possono raggiungere il 50 per cento in molte importanti istituzioni americane). Non penso che sia facile fare una riforma sensata dell’università italiana, ma il Ddl Gelmini è da rottamare in primo luogo perché non presta alcuna attenzione alla parte più giovane del sistema universitario che ne rappresenta il futuro. Mi auguro che il periodo di mobilitazione dei ricercatori, dei docenti e degli studenti che è appena iniziato riesca a generare una discussione pubblica sulla sostanza di come debba essere fatta una riforma dell’università ricordandosi sempre che il meno peggio è nemico del bene.


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