"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




venerdì 5 novembre 2010

Il Pd e l’università


In seguito al mio precedente post su “Confindustria ed università” Marco Meloni,  responsabile di Università e Ricerca per la Segreteria Nazionale del Partito Democratico, mi ha inviato la seguente lettera che riporto integralmente.



Caro Dr. Sylos Labini,



il suo intervento pubblicato sull’edizione online del 29 ottobre del Fatto Quotidiano, mi induce ad alcune precisazioni. Anzitutto condivido la sua valutazione negativa sul provvedimento con il quale il governo – se mai dovesse trovare le risorse – vorrebbe affrontare la situazione contingente del reclutamento dei nuovi docenti: la norma in sé è sbagliata, in quanto si rivolge a poche migliaia degli attuali ricercatori e non presta alcuna attenzione all’ingresso di nuovi ricercatori, così da assicurare un reclutamento costante e regolare; ma soprattutto la legge e le politiche finanziare del governo mirano a ridurre, fino a dimezzarli, gli spazi dei docenti di ruolo. Due generazioni di precari mandate a casa, e nel futuro molti più precari a insegnare: minore qualità, e selezione non certo in base al merito. Invece occorrono spazi, certezza delle regole, percorsi per andare in cattedra a 35 anni e non a 50.


Quanto alla governance, a nostro avviso il problema non sono gli esterni, che già ci sono in moltissime università, ma i criteri della loro scelta: noi proponiamo che siano individuati in seguito a una procedura di evidenza pubblica (candidature e curricula on line), che siano proposti dai membri del CDA già eletti dalla comunità accademica, che la loro nomina sia approvata dal Senato accademico. In caso contrario, piuttosto che l’assenza di regole del DDL, è meglio che non ci siano.


Questa proposta, contenuta negli emendamenti del PD, non chiude del tutto l’università nella sua autoreferenzialità, senza promuovere portatori di interessi privati o politici di seconda fila. In realtà, in tema di governance, il DDL Gelmini non è condivisibile su altri due punti: la concentrazione di un potere amplissimo e “irresponsabile” sul rettore, e tutte le decisioni spostate sul CDA: noi abbiamo proposto una migliore ripartizione delle funzioni tra questo ultimo e il Senato, al quale devono essere affidati i poteri di indirizzo delle attività di ricerca e didattica.


Quanto alla “condivisione del PD”, richiamata da Gianfelice Rocca, non si può sostenere che il DDL Gelmini presenti “forti punti di contatto” con le proposte del PD. Vi è forse qualche sovrapposizione meramente nominalistica, determinata dall’uso improprio, da parte del governo, di parole quali qualità, autonomia, valutazione, merito. Dietro le quali, però, si nascondono, all’opposto, un ridimensionamento dell’Università, la centralizzazione di ogni scelta presso le burocrazie ministeriali, nessuna vera innovazione nella governance, la dequalificazione dei docenti.


Il DDL Gelmini non è per nulla una buona riforma, anzi è profondamente sbagliata. Una riforma dell’Università però è necessaria e urgente, per portare qualità, efficienza ed equità. Il nostro auspicio è che in queste settimane si passi dal “prendere o lasciare” di un governo privo di qualsiasi credibilità e autorevolezza, al merito delle questioni. Con le nostre proposte siamo pronti al confronto: il Parlamento si assuma la responsabilità di approvare una buona legge, facendo prevalere l’interesse generale sulle logiche di parte.


Cordiali Saluti,


Marco Meloni



Ringrazio Marco Meloni per l’attenzione rivolta al mio blog. Vorrei aggiungere alcuni commenti alla sua lettera.

Sono assolutamente d’accordo con la valutazione complessiva del ddl Gelmini che speriamo venga rottamato prima che nasca.  E’ chiaro che nella situazione in cui ci troviamo una riforma dell’università deve innanzitutto preoccuparsi di stabilire delle procedure certe, costanti nel tempo, regolari negli anni, e basate su seri ed efficaci principi meritocratici per il reclutamento delle nuove leve e per l’avanzamento di carriera del corpo docente già assunto. Soprattutto bisogna evitare di mandare al macero alcune migliaia di ricercatori che oggi sono “precari” nonché mettere su un binario morto gli attuali ricercatori strutturati.

Per quanto riguarda la governance a me non piace affatto l’idea che nei CdA dell’università pubblica entrino delle persone esterne che non sanno nulla di ricerca ed università a prescindere da come queste siano state scelte. Se già ci sono degli esempi di esterni nei CdA, allora iniziamo a capire e discutere chi siano e cosa facciano e se il loro apporto sia positivo o meno. I pochi esempi che conosco non mi sembrano affatto incoraggianti: che si valuti bene ed in modo trasparente.

I danni causati dall’immissione di  persone esterne nel sistema universitario  e della ricerca possono essere tanti e profondi. Prendiamo il caso che si dovesse decidere se incrementare la ricerca applicata piuttosto che quella di base. Con tutta la retorica da cui siamo stati sommersi negli ultimi anni sul fatto che l’università debba “preparare al mondo del lavoro” il mio timore è che persone totalmente estranee alla ricerca e quindi non culturalmente all’altezza della situazione facciano scelte sbagliate in maniera superficiale. Come ho avuto modo di discutere: la ricerca di base è fondamentale perché solo quella ha le potenzialità per generare innovazione a medio e lungo termine (e magari anche a corto, basta guardare al caso del grafene). La ricerca di base, sia scientifica che umanistica, quando è di qualità,  fa parte delle infrastrutture del paese, come le autostrade e le ferrovie. Basta con questa denigrazione del mondo accademico da parte di sedicenti intellettuali compiacenti e di varie forze politiche ed imprenditoriali incompetenti: bisogna reagire da qui. La domanda perché pagare uno scienziato se facciamo le scarpe migliori del mondo è proprio la chiave per capire il problema culturale che sta dietro l’attacco all’università sferrato negli ultimi anni.

Le altre considerazioni del Dr. Meloni mi sembrano ragionevoli, anche se poi il diavolo si nasconde nei dettagli. Infine vorrei esprimere un desiderio: che il PD riesca a tenere, correggendo gli errori del passato, un rapporto credibile, costante e proficuo con le parti più attive e dinamiche dell’università, con i colleghi più impegnati e competenti, perché in questa fase c’è bisogno soprattutto di idee e  persone nuove per pensare in maniera lungimirante all’università di domani, senza dimenticare il passato ma analizzandolo criticamente ed apertamente. Questo per  riuscire a catalizzare un mondo frammentato ma ancora vitale. Se l’attività parlamentare è importante, a me sembra che una vera politica dell’università e della ricerca debba partire, prima che da un confronto con le altre forze politiche,  da un confronto sistematico ed analitico con la comunità scientifica ed il mondo universitario. Anche perché, a prescindere dal fatto che il ddl Gelmini venga approvato o meno, c’è bisogno di una riforma strutturale del sistema universitario e della ricerca.

Segnalazione

I falsi miti dell’università italiana, di Giuseppe de Nicolao

(Pubblicato su Il Fatto Quotidiano online)

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