"I ricercatori non crescono sugli alberi" è il titolo del libro scritto a quattro mani da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sulla ricerca e l'università in Italia. E' stato pubblicato da Laterza a gennaio 2010. A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c'è tra ricerca ed insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell'università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c'è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l'investimento più lungimirante che si possa fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.




martedì 8 marzo 2011

Merito e regole

Roger Abramavel ha lavorato per 35 anni per la società di consulenza  McKinsey & Company. Tra le altre cariche che ora ricopre, siede nel consiglio di amministrazione dell’Istituto Italiano di Tecnologia. L’altro giorno, in un’intervista al Corriere della Sera, ci ha spiegato il suo modello per la ricerca. Vediamo cosa ci racconta il signor consulente a proposito del monito del presidente Napolitano sui tagli indiscriminati alla ricerca (non è mai troppo tardi per fare moniti):  “C’è una grande crisi e si taglia dappertutto. Tagli indiscriminati… messaggio giusto. Sbagliata l’interpretazione secondo cui lo Stato deve continuare a spendere a pioggia nei grandi laboratori pubblici, nelle università: questo è un grave errore perché purtroppo oggi questa spesa non dà ritorno. Non abbiamo università tra le top 100 e questi laboratori non hanno dato grandi ritorni.”

In poche righe troviamo un’incredibile montagna di banalità. In vari paesi, a partire dagli Stati Uniti, Francia e Germania, sono stati erogati finanziamenti straordinari per stimolare la ricerca, che è vista come uno strumento fondamentale per rilanciare l’economia e non come un peso morto dove buttare risorse. Chi ha poi affermato che lo Stato debba continuare a spendere a pioggia? Mai nessuno, neppure il più somaro degli universitari, direbbe qualcosa del genere apertamente, casomai nell’ombra e nelle pieghe del sistema, cercherebbe di afferrare un po’ di risorse.

Lo Stato deve investire con criterio ed oculatezza nella ricerca e nelle università, perché ricerca ed università fanno parte del sistema delle infrastrutture del paese. In un paese serio, bisognerebbe varare una riforma che non permetta gli abusi che ci sono sicuramente stati nel passato e che cerchi di valorizzare quanto di buono esiste nel sistema universitario e della ricerca. Se questo non è avvenuto, per responsabilità delle classi politiche attuale e passate, ma anche dell’attuale classe accademica che troppo spesso ha approfittato della situazione di disinteresse e ignoranza della controparte politica, è necessario porre dei correttivi allo stato attuale. In altre parole, bisognerebbe fare un riforma che stimoli la “meritocrazia”: ma non era questo l’obiettivo del ministro Gelmini? Allora perché ha fatto la famosa “riforma epocale”? Forse per prenderci in giro? E il signor consulente, che è anche consulente del ministro, è della partita anche lui o passava per caso?

Dell’interpretazione delle classifiche internazionali abbiamo già discusso:  qui ricordiamo che queste classifiche devono essere capite e non citate quando fa comodo nascondendo l’assenza di qualsiasi università privata italiana. Ma cosa vuole dire che “questa spesa non dà ritorno”?  Cosa è nella fantasia del signor consulente Abramavel, il ritorno della ricerca di base prodotta dai grandi laboratori pubblici? Cosa ne sa il signor consulente della ricerca di base? Perché il discorso è molto semplice: i grandi laboratori pubblici esistono perché c’è uno Stato che li finanzia, dal momento che i privati in Italia non fanno neppure laboratori medi, piccoli o microscopici. Che si fa, si abolisce la ricerca?

Ma certo che no: il signor consulente Abramavel ha le idee chiare in proposito.“Un esempio positivo è l’Iit (Italian Institute of Technology). Creato 5 anni fa, ha 800 ricercatori eccellenti di cui un terzo cervelli rimpatriati, un terzo cervelli stranieri e un terzo cervelli italiani. Ha rilanciato e stiamo andando benissimo perché: meritocrazia, meritocrazia, meritocrazia. Selezionare in maniera meritocratica e valutare. Cosa che questi ricercatori delle nostre università che sono andati sui tetti a lamentarsi pure avendo un posto fisso non vogliono riconoscere.”

Altre poche parole, altra montagna di falsità. Che il signor consulente citi l’Iit, di cui lui è parte in causa essendo parte del consiglio di amministrazione, darebbe già un fastidioso senso di conflitto di interessi (per chi ha ancora una sensibilità al tema in questo Paese) se fosse stato “intervistato” nel suo ruolo di consulente del ministro o di esperto di qualcosa (cosa?). Se invece il suo ruolo fosse quello di membro del CdA dell’Iit, allora più che “intervista” si potrebbe chiamare spot promozionale (ma di quelli ingannevoli). Ma è interessante l’esempio dell’Iit, sulle cui performance abbiamo già discusso. Ricordiamo il famoso rapporto di valutazione indipendente perso nei meandri della burocrazia (forse il signor consulente Abramavel, così appassionato di meritocrazia, meritocrazia, meritocrazia, lo ha nel suo cassetto?). L’Iit, con il 10% del personale del Cnr, ha un budget statale annuo di 100 milioni di euro (il 20% di quello del Cnr), ricava da progetti il 10% di questo (il Cnr quasi il 100% del suo budget), ha prodotto nel 2009 circa 200 pubblicazioni censite (il 4% di quelle del Cnr per lo stesso periodo) e si trova alla posizione 2.823 della classifica Scimago (il Cnr al 23esimo posto). E questo sarebbe l’esempio?

I ricercatori che sono andati sui tetti avevano, e hanno, tutte le ragioni per contestare una riforma vergognosa fatta da persone che hanno competenze del livello del signor consulente Abramavel. E piano piano (troppo piano) anche altre componenti del corpo docente universitario si stanno rendendo conto di quali siano le vere intenzioni di questo governo circa il futuro dell’università e della ricerca.

(pubblicato su Il Fatto Quotidiano online

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