Il che vuole dire che è un precario: questa notizia, nel paese in cui c’è un’intera generazione “precaria” ed un’altra che si appresta a diventarlo, non può che essere una buona notizia.
Tornando a più infime questioni, c’è grande agitazione per lo slittamento della discussione del Ddl Gelmini alla Camera, che il Presidente Fini ha collocato per il 14 ottobre. Ma il 15 ottobre comincia alla Camera la sessione di bilancio che dura un mese (almeno) e che ha priorità su tutti gli altri provvedimenti. Dunque se ci saranno elezioni anticipate con buona probabilità la riforma Gelmini non verrà mai approvata. A me questa sembra un’ottima notizia. Invece ilProf. Panebianco è preoccupatissimo in quanto “La riforma del ministro Gelmini è un ambizioso tentativo di ridare slancio all’istruzione superiore“. Tanto preoccupato che sia ieri che oggi ha dedicato due fondi sul Corriere della Sera all’argomento.
Nel primo ha affermato che “Chi la [la riforma Gelmini, ndr] rifiuta in blocco lo fa per faziosità ideologica oppure perché appartiene ai settori più conservatori del mondo universitario“. Nel secondo si spinge a chiedere le dimissioni di Fini per avere spostato la discussione al 14 ottobre. Vedremo quale altra fantastica considerazione ci proporrà nel prossimo editoriale. Comunque, dopo aver decantato le lodi della riforma Gelmini, ovviamente senza nessun riferimento preciso a cosa ci sia di così straordinario, si passa, in un altro articolo del Corriere, cui lo stesso Pianebianco rimanda, ad una considerazione interessante. Si scopre che per legge i ricercatori universitari non sono tenuti ad insegnare ma che in realtà circa la metà dei corsi sono affidati a loro. Allora si viene informati che i “tecnici” del Ministero stanno valutando la seguente questione. Quanto pagare perché la protesta dei ricercatori rientri ? Ecco qui un rapido conto: 150 euro netti al mese per 25,000 ricercatori per 12 mesi fa 45 milioni di euro. Questo sarebbe il costo dell’obolo da elargire ai ricercatori per farli stare buoni e far rientrare la loro protesta, ovvero l’indisponibilità a fare i corsi.
La cosa che stupisce è come un giornale dal passato prestigioso come il Corriere della Sera si sia ridotto ad essere l’ house organ del Ministro Gelmini. Mai una parola di critica, mai una discussione ma tutti compatti verso l’obiettivo di una legge fatta da persone anziane che guardano solo il loro proprio interesse e che soprattutto non hanno idea di che cosa sia l’università italiana nell’anno 2010. Ed a cui non interessa assolutamente come sarà ridotta l’università italiana nel 2020, a meno che l’unica questione sia quella dello smantellamento del sistema di istruzione superiore pubblico.
Ho già avuto modo di affrontare in qualche post recente la splendida idea delle tenure track all’italiana (TTI), in cui si usa un nome anglosassone per coprire una porcheria all’italiana. La tenure track negli Stati Uniti funziona perché l’università assicura da subito la copertura finanziaria per la posizione permanente (per sempre). Le università italiane ad oggi non sanno ancora quale sia lo stanziamento di bilancio per l’anno in corso. L’abolizione del posto di ricercatore con la sua sostituzione con la TTI è una presa in giro non solo per gli attuali ricercatori ma per i 50,000 o più precari dell’università. La meritocrazia gelminiana si riduce all’istituzione dell’ANVUR, di cui tra l’altro si parla da un decennio. Finora di passi concreti verso una valutazione dell’attività di ricerca non ne sono stati fatti (d’altronde meritocrazia e Gelmini sono un ossimoro). La riforma della governance apre le porte per la trasformazione delle università in Asl. Sarà per faziosità ideologica (ancora non mi considero appartenente ai settori più conservatori del mondo universitario e della ricerca, visto che ci sono appena entrato) ma la riforma Gelmini, con le sue 179 norme più le deleghe (che fa 500 norme) mi sembra l’affossamento definitivo del sistema pubblico.
Ma forse Panebianco con il suo Corriere della Sera trasformato una sorta di Pravda sovietica, non considera un punto importante. Chi è interessato al problema dell’università non è la mitica “casalinga di Voghera” che prende e digerisce le sue informazioni da chi ha più potere nei media senza alcuno spirito critico. In principio è proprio nell’università che si forma la capacità di critica e dunque è da questo mondo, almeno dalla parte più “giovane” ed attiva, che deve nascere una sana opposizione al tentativo in corso di smantellamento dell’istruzione superiore. I giochi sono aperti, speriamo bene.
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