Come può la scienza comunicare se stessa al grande pubblico? A questa domanda tentano di rispondere due ricercatori del CNR, Francesco Sylos Labini (Istituto dei Sistemi Complessi, Roma) e Stefano Zapperi (CNR-INFM, Modena), che in un recentissimo saggio dal titolo “I ricercatori non crescono sugli alberi” analizzano lo stato di salute della ricerca italiana e del suo rapporto con l’informazione. I due Autori partono dalla convinzione che, per far capire all’opinione pubblica l'importanza strategica della ricerca, il suo ruolo nel progresso tecnico e scientifico della società ed anche la sua rilevanza per gli sviluppi applicativi e le ricadute economiche, è fondamentale disporre di una corretta informazione, in grado di fornire una rappresentazione non distorta, né troppo “difficile” né artificialmente semplificata, dell’attività scientifica. Al contrario, il linguaggio delle pubblicazioni scientifiche è quasi sempre di difficile comprensione per la gran parte dei cittadini: il rapporto che contiene le relazioni di tutti i dipartimenti del CNR sembra scritto, a detta degli Autori, “non perché qualcuno lo possa leggere, ma solo perché qualche regolamento ne prevede la stesura". In Italia, sostengono i due Autori, il rapporto tra la scienza e la comunicazione, tra gli scienziati e i media e poi l’opinione pubblica risulta particolarmente difficile perché mancano giornalisti preparati, in grado di distinguere tra le posizioni accreditate dalla comunità scientifica e le idee estemporanee degli scienziati improvvisati.
Oltre ad analizzare le attuali criticità del sistema (invecchiamento dei ricercatori, scatti di anzianità, turnover, ingressi in ruolo, baronati), Sylos Labini e Zapperi puntano l’attenzione sulla questione della scarsità delle risorse e della loro cattiva distribuzione, fatta senza criteri di valutazione del merito (dei singoli) e della qualità (delle strutture: università e enti di ricerca). Sul problema e sull’idea di risolverlo con la privatizzazione dell'università italiana e della ricerca, i due ricercatori non hanno dubbi: la ricerca di base deve essere finanziata con fondi pubblici perché nessun privato può permettersi di fare un investimento che, da una parte, è inevitabilmente ad alto rischio e, dall'altra, richiede generalmente una scala di tempo molto più lunga di qualsiasi intervallo temporale accettabile da parte di un’impresa.
Liana Verzicco I Ricercatore Istat, Roma
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